Le
primarie democratiche in Ohio sono fissate per il 15 marzo: Stephen Meyers
lavora per uno dei candidati alla presidenza, il governatore Morris.
Al
quarto film da regista, George Clooney riprende in mano il discorso sulla politica e
sul potere adattando per lo schermo l’opera teatrale "Farragut North" di Beau
Willimon, utilizzandone le tematiche più come fucina di elementi drammatici e
come sfondo, che in una chiave di denuncia o di schieramento a favore di una
tesi.
In politica, nelle campagne elettorali
in particolare, quello che appare è quello che conta, il rispetto delle regole è un handicap, la
contromossa – anche sporca – una cartuccia da tenere sempre a disposizione;
dietro la patina immacolata si trova un groviglio di intrighi, di malaffare, di
compromessi indicibili; a dire: il governatore Morris sembra un uomo
affidabile, ma la sua immagine è solo la punta visibile di un iceberg sommerso.
Stephen
Meyers, vero e proprio guru della comunicazione, regista della campagna che
decide le tattiche, dispone le pedine in campo, muovendole secondo le esigenze,
ha il compito di rendere interessanti le questioni proposte dal suo candidato.
Ma l’eccesso di disinvoltura crea mostri: il rivale Tom Duffy, riconoscendone
la bravura e la conseguente pericolosità, gli chiede di incontrarlo;
ingenuamente il nostro accetta: con quel suo semplice consenso Stephen perde la
partita, avendo messo in discussione, senza accorgersene, la lealtà al team al
quale appartiene.
Provato
dal suicidio della stagista-amante, messa incinta da Morris (l’aborto viene
finanziato dal fondo cassa, l’eliminazione del fattaccio è del resto vitale per
la riuscita della campagna) diventa improvvisamente cinico e calcolatore; da
collaboratore fedele ed entusiasta, di fronte alla necessità di mettere da
parte la sua fede nel candidato per le logiche impietose dei giochi di potere, si
trasforma in una macchina di vendetta.